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Licenziamenti Collettivi

2022-12-15 14:24

Redazione

Diritto e Lavoro, licenziamento,

Licenziamenti Collettivi

Secondo la Cassazione la legge n.223 del 1991 sui licenziamenti collettivi stabilisce che l’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità dev

Secondo la Cassazione la legge n.223 del 1991 sui licenziamenti collettivi stabilisce che l’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire in base a criteri oggettivi che non possono prestarsi ad applicazione discrezionale. La legge impone il rispetto dei criteri quindi dà per presupposto che la loro applicazione sia verificabile. Un criterio non verificabile, in realtà, non è un criterio di scelta ma un diverso modo di fondare il potere di scelta. Non vi può essere un’area residua di discrezionalità di scelta da parte del datore di lavoro: il criterio predeterminato deve essere tale da impedire che il datore di lavoro possa scegliere a sua discrezione quali lavoratori in concreto licenziare in occasione di una riduzione di personale. I criteri di scelta devono consentire di formare una graduatoria rigida che consenta di essere controllata agevolmente dagli interessati e dai rappresentanti sindacali. I criteri di scelta devono essere tutti ed integralmente basati su elementi oggettivi e verificabili in modo da essere controllabili in fase operativa.

Con la sentenza n.33623 del 15 novembre 2022 la Cassazione ha ribadito che, nell’ambito delle procedure per i licenziamenti collettivi, ai fini della individuazione dei dipendenti da licenziare i criteri di scelta devono essere privi di qualsiasi discrezionalità da parte del datore di lavoro. La graduatoria che viene formata in base a tali criteri deve essere rigida in modo che consenta di essere verificata e controllata senza difficoltà da ogni lavoratore interessato e dai rappresentanti sindacali. La Corte d’Appello di Catania, nell’ambito di un procedimento ex lege n.92 del 2012 (legge Fornero), ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato a un lavoratore all’esito di una procedura collettiva ed ha condannato la Società datrice di lavoro Marina di Riposto Porto dell’Etna Spa alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro oltre che al risarcimento del danno in misura di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto con accessori e spese. Nell’accordo tra il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali era stato previsto che i lavoratori sarebbero stati valutati dai responsabili delle aree operative tenendo conto della preparazione professionale e delle prestazioni svolte “in modo da consentire il mantenimento in servizio dei lavoratori in possesso delle professionalità necessarie per la efficiente prosecuzione dell’attività aziendale”. Il reclamante aveva ottenuto un punteggio inferiore ad altri lavoratori non licenziati ed è risultato determinante quanto attribuito in relazione al criterio delle esigenze tecnico produttive ed organizzative. La Corte d’Appello ha ritenuto che l’espressione di un giudizio cui poi viene associato un punteggio evidenzia l’esercizio di un ampio margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro. Quindi il criterio adottato non è oggettivamente verificabile e controllabile e lascia spazio ad una scelta arbitraria dei dipendenti da licenziare. Viene così meno alla funzione dei criteri di scelta che è quella di sottrarre l’individuazione dei lavoratori da licenziare a qualsiasi margine di discrezionalità. La Società ha proposto ricorso per Cassazione sostenendo che è errato e non conforme alla normativa escludere tout court qualsivoglia valutazione del datore di lavoro nella selezione del personale in esubero. La Cassazione ha rigettato il ricorso confermando la sentenza della Corte d’Appello.

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