IL GIUDIZIO.
Secondo la Cassazione il licenziamento motivato dall’esigenza di trasformazione del full-time in part-time e viceversa va ritenuto ingiustificato perché adottato in violazione dell’articolo 8, primo comma, D.lgs. 81/2015. Il licenziamento intimato a seguito di rifiuto del part-time, ancorché ammantato da altre ragioni come il giustificato motivo oggettivo, va invece ritenuto ritorsivo in quanto mosso dall’esclusivo e determinante fine di eludere proprio il divieto di cui all’articolo 8 citato attraverso una ingiusta ed arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore, che attribuisce al licenziamento il connotato della vendetta. Correttamente la Corte d’Appello ha sanzionato un licenziamento per giustificato motivo oggettivo motivato da inesistenti e strumentali ragioni riferite ad una crisi aziendale cui era sotteso l’intento di reagire al rifiuto del part-time, peraltro legittimo.
Con l’ordinanza n.18547 dell’8 luglio 2024 la afferma che il licenziamento intimato al dipendente con la giustificazione di una crisi aziendale poi rivelatasi fittizia e in realtà scaturito dal rifiuto del dipendente stesso di accettare la trasformazione del rapporto di lavoro da pieno a part-time è da considerarsi ritorsivo e quindi nullo. Con la conseguenza del risarcimento del danno e della reintegrazione nel posto di lavoro.
Un supermercato di Catanzaro ha licenziato un suo dipendente addetto al reparto macelleria adducendo il giustificato motivo oggettivo rappresentato dal costante andamento negativo del reparto dove prestava servizio il lavoratore e la impossibilità di repechage dello stesso allo scopo di conservare il rapporto di lavoro.
A seguito del ricorso al giudice da parte dell’interessato si è pervenuti alla sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro la quale, in accoglimento della domanda, ha ordinato alla Società di reintegrare il dipendente nel suo posto di lavoro e di risarcirgli il danno pari ad una indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino al giorno della effettiva reintegrazione oltre accessori e contributi previdenziali.
La Corte d’Appello ha ritenuto che non soltanto il licenziamento difettasse del motivo oggettivo (andamento negativo del reparto macelleria) ma altresì che la manifesta insussistenza del motivo oggettivo rivelasse l’esclusiva finalità ritorsiva del licenziamento in ragione degli elementi presuntivi emersi nel giudizio (soprattutto la contiguità temporale del licenziamento rispetto al rifiuto che il dipendente aveva opposto alla trasformazione del suo rapporto di lavoro in rapporto part-time e alla iniziativa disciplinare da parte del datore di lavoro poi caduta nel vuoto).
Contro la sentenza è stato proposto ricorso per Cassazione. Secondo la Società ricorrente la Corte d’Appello avrebbe errato nell’esame dei fatti e comunque avrebbe travalicato i limiti posti al sindacato giudiziale sulle scelte datoriali entrando nel merito di tali scelte. La Corte avrebbe dovuto considerare la situazione del reparto macelleria dove i ricavi non erano tali da supportare i costi di due dipendenti a tempo pieno. Inoltre la tutela reintegratoria non è prevista per il rifiuto di trasformare il rapporto da tempo pieno a part-time. La Cassazione ha respinto il ricorso condannando la Società alle spese di giudizio.